mercoledì 24 novembre 2010

Dragomiro Bondev

Mara Carfagna alla premiazione del film “Goodbye mama” di Michelle Bonev a Venezia
 di Marco Travaglio (tratto dal fatto quotiiano)

Noi l’avevamo detto in tempi non sospetti: lo stiamo perdendo. Troppo gracili le spalle implumi di James Bondi per sopportare, da sole, il peso schiacciante del Cainano. Se a ciò aggiungiamo due o tre famiglie da sistemare, per
citare solo le sue e non parlare di quelle del capo, che sono legione, dimenticando pure la Casa dei Gladiatori comunisti che decide proditoriamente di franargli in testa proprio adesso, il quadro è (quasi) completo. Immaginiamo la scena. boccheggia esausto nel suo ufficetto interno alla villa di Arcore con vista sul mausoleo e sulle scuderie di Mangano senza cavalli. Suda copiosamente, al solo pensiero della fatica che ha fatto a sistemare l’ex marito e il figlio della fidanzata, Manuela Repetti da Novi Ligure, che lo segue come un’ombra in ogni dove e non si contenta mai. Per l’ex marito Fabrizio Indaco s’è inventato una consulenza al ministero da 25 mila euro l’anno, nel misterioso ma affascinante ramo “Teatro e moda” (come dire “Trigonometria e turaccioli” o “Fi l os ofi a e branzini”).
È una torrida giornata di fine agosto e lui, il Pallore Gonfiato,
Per il pargolo acquisito, laureando in Architettura, ha racimolato un posto al Centro sperimentale di cinematografia con distacco alla Direzione generale cinema. Restava il restauro del teatrino di Novi Ligure, difficile da finanziare visti i tagli feroci ai bilanci: ma alla fine 2 milioncini saltano fuori anche per quello. Il ministro della Cultura a sua insaputa si congratula con se stesso e sta quasi per emettere il primo respiro dopo mesi di apnea, quand’ecco materializzarsi una nuova emergenza: Dragomira Bonev detta Michelle, una virago bulgara
alta un metro e ottanta. L’amico Silvio, noto talent scout (ha scoperto persino Ruby Rubacuori), le ha
promesso il Leone d’oro al Festival di Venezia e lei, produttrice dell’imperdibile film Goodbye Mama in
simbiosi con Raicinema (e con chi se no?), ci ha creduto. Del resto nel 2003 lui le promise il ruolo di
opinionista al Dopofestival di Sanremo e, fra lo stupore generale, lei l’ottenne. Idem per il libro
pubblicato da Mondadori (opera prima e, si spera, unica) e per la fiction La bambina dalle mani sporche.
Ora però l’affare s’ingrossa. Quando James chiama il direttore generale Borrelli per il nuovo editto
bulgaro, questi se lo fa ripetere due o tre volte. Mission impossible. Escluso a priori che la giuria
presieduta da Quentin Tarantino possa premiare Dragomira, non sapendo proprio chi sia, si tenta
con il “lei non sa chi è lei”: “La ragazza è molto cara al premier bulgaro”, antipasto di “la ragazza è la
nipote di Mubarak”. Ma non attacca. Allora si passa al piano B: inventare un premio inesistente, come le
patacche napoletane. Un incaricato, distolto magari dalle crepe di Pompei, si fionda in una bottega
romana di coppe e medaglie e, raccomandando il più assoluto riserbo, commissiona in tutta fretta la
targa farlocca con logo dell’Ue (ovviamente ignara di tutto) e del ministero dei Beni culturali. Epigrafe
altisonante, una supercazzola improvvisata lì su due piedi: “Premio speciale della Biennale nel 60°
anniversario della Convenzione europea sui diritti umani” ecc. Resta da allestire la finta premiazione,
dinanzi a un folto e finto pubblico e alla finta stampa con finti flash e finte telecamere. Roba da
“Totòtr uf fa”. Un gioco da ragazzi, anche perché a far numero viene paracadutato un cargo di ministri
(Galan e Carfagna) ed europarlamentari last minute. Per il resto comparse, tra cui 32 bulgari Doc
aviotrasportati e alloggiati al Cipriani. La Bonev è soddisfatta: crede davvero di aver vinto a Venezia,
l’amico Silvio si congratula al telefono. Tutto è bene quel che finisce bene. Almeno fino a ieri, quando il
governo di Sofia smentisce ogni coinvolgimento e assicura che ha fatto tutto Bondi. Anche i bulgari
hanno una dignità e non vogliono aver nulla a che spartire con l’Italia. Si sfiora la crisi diplomatica con
uno dei pochissimi paesi che ancora mancavano alla collezione. E lui, Dragomiro Bondev, solo ed
esausto, a spalare. Altro che sfiducia: il premio “Diritti umani” dovrebbero darlo a lui.
 
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